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STORIA DELLA NAVE
L’utilizzo di questo mezzo di locomozione si stima sia iniziato circa 6000 anni fa.
Il tronco, la zattera, il tronco scavato, i fasci di giunchi, la corteccia degli alberi e la pelle degli animali sono le diverse e più remote tappe della prima fase nella tecnica di costruzione delle imbarcazioni con la quale si sviluppò la tecnica delle costruzioni navali.
Questa tappa la possiamo riscontrare molto dettagliatamente nell’antico Egitto.
Gli egizi, da sempre, si servirono del Nilo come la più agevole via di comunicazione. Le prime barca (5000-3500 a.C.) furono destinate alla navigazione fluviale e realizzate con piante di papiro. I fusti di questa pianta venivano legati strettamente a fasci con i quali si formava una grossa stuoia che veniva legata e curvata alle estremità venendo poi rialzate. Anche le legature venivano fatte con cavi di papiro.
A questo tipo di imbarcazione se ne aggiunse un altro più solido in legno, quest’altro tipo veniva impiegato prevalentemente nel delta del fiume.
Successivamente le navi vennero costruite in legno, inizialmente usando il legno locale (l’acacia e il legno sicomoro, due tra i peggiori legni per costruire navi), poi facendo arrivare il legno dal Libano (conifere). Con questo tipo di legno si poterono costruire navi abbastanza grandi e solide. Queste navi avevano ancora la chiglia interna, un profilo molto affinato e la poppa e la prua meno alte delle precedenti. Il fatto che avessero la chiglia interna le rendevano ancora molto deboli nella struttura centrale che tendevano ad arcuarsi. Per evitare ciò vi era installato il solito cavo (presente fin dall’inizio) che attraversava la nave da prua a poppa, esterno e veniva tenuto in tensione da un tenditore. La locomozione veniva assicurata da una fila di remi per fiancata quando il vento non gonfiava l’unica vela quadra al centro della nave.
Il timone era composto da due grandi remi a poppa.
Tuttavia gli egizi non furono un popolo di navigatori e costruttori di navi e a tale prova vi è il fatto che il faraone Necho (612-576 a.C.) avrebbe affidato ai Fenici il compito di circunnavigare l’Africa per ampliare i propri commerci.
I Fenici non erano né i primi né i soli navigatori dell’antichità, però furono certamente i più grandi e i primi mastri nell’architettura navale. Questo perché potevano sfruttare le grandi foreste del Libano e poi perché il loro territorio era estremamente povero quindi erano obbligati ad andare a cercare altrove quello che non possedevano nel loro paese.
Furono i primi a costruire le navi con la chiglia, con le ordinate e il fasciame. Ciò rendeva il sottoponte usufruibile per caricare merce e quindi rendendo lo spazio utilizzabile molto grande. Fondarono colonie in tutto il Mediterraneo e spingendosi in territori lontanissimi oltrepassando lo stretto di Gibilterra avventurandosi oltre le Colonne d’Ercole.
La loro supremazia navale fu scossa prima dalla distruzione di Sidone ad opera degli Ebrei (1200 a.C.) e poi dagli Asssiri (700 a.C.) e infine dagli Egizi. Ma nonostante di trovassero sotto la dominazione di questi popoli continuarono lo stesso a navigare e costruire navi. Di questo periodo sono le loro navi da guerra a due ordini di remi sovrapposti e dotate di sperone per affondare le navi nemiche, la marina mercantile sviluppò una nave larga, sempre con rematori e vela quadra e con una prua alta e ornata con una testa di cavallo che era l’emblema del popolo fenicio.
Questa supremazia dei fenici fu, nel corso dei secoli, spodestata da altri popoli dell’area mediterranei, in successione: greci, cartaginesi e romani.
I greci riuscirono a utilizzare l’eredità dei fenici apportando delle novità importanti. Tra cui la differenziazione maggiore tra le navi da guerra e quelle da trasporto. Le prime con gli scafi costruiti con le ordinate che si innestavano con la ruota di prua, diritto di poppa tramite il fasciame rendendo la barca molto resistente ma allo stesso tempo elastica. Tutte queste strutture venivano innestate con cunei di legno tra di loro. La nave da guerra più antica (Pentecontero pelagico) era lunga dai 30 ai 35 metri, era dotata di uno sperone a livello dell’acqua per sfondare i fianchi delle navi nemiche e il castello rialzato a prua. Aveva un solo albero con vela quadra e generalmente 25 remi per lato, il timone erano ancora due grandi remi uno per lato.
Nel complesso si presentava come una barca leggera e, cosa molto importante, per via della chiglia quasi piatta, poteva essere arenata sulla spiaggia in mancanza di porti.
Da questa barca, usata come standard, vennero costruite molte varianti, la principale consisteva nella variazione del numero dei rematori disposti su diversi livelli e di cui la più famosa ed efficiente fu la trireme. Di solito le triremi avevano uno scafo lungo dai 35 ai 40 metri, largo circa 6 e capace di portare circa 200 uomini tra marinai e soldati e poteva portare da uno a più alberi ma sempre a vela quadra.
Le navi mercantili, di forma molto tozza, andavano quasi esclusivamente a vela, anche se avevano anch’esse, qualche volta, un ordine di remi che venivano utilizzati per rendere più facile l’ormeggio nel porto.
Un discorso a parte merita la definizione di biremi, triremi sino ad arrivare a quinqueremi.
Molti sostengono che il termine generale di poliremi si riferisca a diversi ordini sovrapposti di vogatori, mentre altri affermano che il termine si debba interpretare come il numero di vogatori addetti al medesimo remo.
Cartagine fondò la sua potenza marinara con una grande flotta di grosse quinqueremi mosse esclusivamente coi remi. Questa flotta era destinata alla protezione delle navi mercantili che trafficavano nel Mediterraneo e nell’Oceano.
Quando Roma, nella sua espansione, si trovò a fronteggiare la marina cartaginese, si dovette dotare anch’essa di grandi quinqueremi. Caio Duoli, generale romano, applicò con delle cerniere una grande passerella con in cima un rostro (praticamente una grande punta leggermente ricurva verso avanti) alla prua della nave. Questo “corvo” veniva tenuto in posizione verticale, quando la nave avversaria era nel suo raggio d’azione, veniva lasciato cadere. Il rostro penetrava nel ponte tenendo ferma la nave e dalla passerella i soldati romani passavano nell’altra nave. E cominciava la strage.
Sia le quinqueremi romene che quelle cartaginesi dovevano essere lunghe circa 70 metri e larghe 8, con circa 300 rematori e un centinaio di soldati.
In epoca bizantina non ci furono grandi innovazioni nell’arte della costruzione delle imbarcazioni.
Si continuava a usare e progettare le navi romane con delle varianti abbastanza minime: si può citare la Liburnia, già in uso dai romani ma reso più snello e armato differentemente in base allo scopo (scorta, trasporto soldati o caccia ai pirati), da molti considerato come l’antenato della Galea mediterranea; il Panfilo, termine usato a volte per indicare le imbarcazioni da diporto; la Chelandia (dal greco testuggine) adibita a servizi ausiliari.
La più importante innovazione è senz’altro l’introduzione di uso comune della vela latina. Il suo nome deriva dalla dizione latina “alla trina” (tre lati), distinguendola da quella “alla quadra” (quattro lati) comunemente usata fino ad allora.
Nello stesso periodo dal nord Europa un popolo di navigatori, ma soprattutto di razziatori, fecero la loro comparsa sempre più massicciamente nel Mediterraneo. La loro tipica imbarcazione, il Drakkar (o navi dragone) era una nave lunga fino a 30-40 metri con 30-60 rematori per fiancata. Molto robusta con il fasciame sovrapposto e fissato direttamente alla chiglia oltre che con delle zeppe (grandi chiodi in legno), delle corde di cuoio e con chiodi di ferro ribattuti. Aveva un solo albero che si poteva togliere e una grande vela quadra. Il timone era sempre un grande remo fissato a poppa.
A questo punto si entra in un altro punto abbastanza lacunoso nella storia delle imbarcazioni navali.
Siamo attorno al 1000 d.C. e dal nord Europa si diffonde un mercantile, la cocca, che diventa il prototipo delle altre marine.
In questo periodo la necessità di difendersi dai pirati porta gli armatori navali a costruire navi che abbiano la capacità di difendersi da sole. Con l’utilizzo sempre più massiccio della polvere da sparo nelle varie guerre e quindi nell’evoluzione delle armi da fuoco, anche le navi utilizzarono questa nuova modalità di combattimento e caricarono a bordo armi di questo genere.
Ma le innovazioni non furono sempre così funeste. In questo periodo nasce il timone con le cerniere dando una migliore e più sicura manovrabilità alla nave.
L’attrezzatura velica fu migliorata con l’installazione di un albero a prua (trinchetto) più piccolo. Più tardi divento necessario installare anche un altro albero a poppa (mezzana) di solito armato con una vela latina. Con l’introduzione di questi due alberi la nave diventò più facile da manovrare lasciando all’albero mastro il compito propulsivo. In cima agli alberi furono messe delle grandi coffe, che non erano destinate alle vedette, ma ad un gran numero di arcieri, poi balestrieri ed infine archibugieri il cui loro compito era quello di uccidere gli uomini, possibilmente gli ufficiali, delle navi nemiche.
Ora, ad eccezione per la galea, non c’era più distinzione tra marina mercantile e marina militare.
Nella prima metà del 1400 compare la Caracca, una grande nave da carico, forse di origine portoghese da 2000 ton. Questa imbarcava circa 40 bocche da fuoco (di solito cannoni) e altri pezzi che si incastravano nelle murate (piccoli cannoni brandeggiabili, ad esempio le colubrine).
Dalla seconda metà del 1400 ci fu un rapido sviluppo delle navi con un potenziamento sia degli alberi che delle vele e, ovviamente, delle capacità difensive o offensive (dipende da quale parte ci si trova) della nave stessa. Gli scafi venivano costruiti in base alla regola “dell’uno-due, la quale prescriveva che la lunghezza dello scafo fosse due volte (o due volte e mezza) la larghezza.
Verso la metà del 1500 il termine caracca venne lentamente soppiantato dal termine galeone. Il galeone era una nave molto più grande e adottando una forma dello scafo che era minimo tre volte la larghezza massima la rendeva molto più agile nelle manovre e più veloce nel coprire distanze della caracca la cui forma era tondeggiante.
Sul galeone vennero installate le artiglierie in più ponti, oltre che in coperta. Ovviamente in questo modo si riduceva lo spazio per le mercanzie a vantaggio degli armamenti. Si può dire che il ruolo del galeone era essenzialmente da battaglia.
Celebri sono rimasti i galeoni spagnoli del 1580-90. tra questi i più grossi arrivavano a 1000 ton di stazza con una lunghezza di 50 m per 12 m di larghezza.
Il dominio di queste possenti navi durò per oltre 100 anni fino al suo massimo splendore alla fine del 1600.
La decadenza del galeone cominciò quando gli armatori delle navi preferirono l’efficienza alla magnificenza: si abbassarono i castelli di prua e di poppa, le decorazioni vennero ridotte a vantaggio della leggerezza, i fianchi e la prora furono attenuati e resi più armonici (e di conseguenza aerodinamici e quindi veloci). Gli alberi divennero tre con vele quadre con gabbie e velacci; l’albero di mezzana era armato con una vela latina e sul bompresso si arma l’albero di civada (pennone) con una vela quadra.
In questo periodo rinasce la divisione tra navi da guerra e navi da trasporto. Questo fu dovuto al fatto che per sfruttare meglio le colonie oltre oceano gli europei diedero vita alla Compagnia delle Indie. Queste compagnie, principalmente inglesi, ma anche olandesi e portoghesi, costruirono numerose flotte di navi da trasporto da 600 tonnellate armate con circa 20 pezzi di artiglieria per la difesa. Queste navi erano sufficientemente armate per difendersi da attacchi da parte di pirati e bucanieri, che in fin dei conti erano dei poveracci che assaltavano le navi di solito con delle scialuppe. Cosa ben diversa era trovarsi di fronte un galeone da 1000 tonnellate armato con 100 cannoni battente una bandiera corsara. E se poi la patente per la guerra di corsa non era stata rilasciata dallo stesso re (ma di solito era una regina) della nave da trasporto, di solito finiva che la nave da trasporto veniva confiscata e l’equipaggio buttato ai pesci.
Per evitare che questi spiaceli incidenti incidessero troppo sul guadagno, si decise che le navi delle varie Compagnie delle Indie rinunciassero ai loro armamenti per ampliare la capacità di trasporto e contemporaneamente i galeoni furono potenziati rinunciando alla loro capacità di carico diventando navi da scorta.
L’evoluzione del galeone fu il vascello, che nelle linee essenziali rimarrà invariato per oltre un secolo, fino all’avvento del vapore.
Il Vascello aveva un rapporto lunghezza-larghezza superiore al galeone. Gli ornamenti, col passare del tempo, andavano sempre più scemando fino a che non rimase solo la polena a ricordare le grandi sculture e ornamenti vari.
Gli scafi erano robusti e formati da vari strati sovrapposti di quercia stagionata.
Il fasciame di quercia era fissato alle coste mediante caviglie di legno; i chiodi non veniva usati per tale lavoro: infatti si ossidavano facilmente diminuendo il loro diametro e provocando la perdita degli stessi. A lavoro finito il fasciame aveva uno spessore di circa 60 centimetri.
L’opera viva (la parte immersa della nave) veniva protetta dall’azione delle teredine (vermi di mare che attaccano e distruggono il legno immerso), fasciandola con tavole di olmo dello spessore di 2 centimetri sopra uno strato di catrame. Le tavole di olmo erano fissate con chiodi conficcati molto vicini l’uno all’altro quasi a formare una superficie metallica. Il sistema dei chiodi era in uso dalla marina inglese a cominciare dai galeoni; solo più recentemente veniva usato il rame che ha anche un’azione velenosa per questi vermi di mare.
Gli alberi furono realizzati in tre pezzi, alberi maggiori, alberi di gabbia, albereti. Gli alberi non erano fissi, ma tenuti con sartie fissate allo scafo mediante un particolare paranco costituiti da bozzelli chiamati bigotte. Nel senso longitudinale gli alberi erano trattenuti dagli stragli.
Le vele erano quadrate per gli alberi maggiori e il bompresso, salvo la mezzana che oltre alla vela latina portava una vela quadra di gabbia. Intorno alla metà del XVII secolo, la velatura venne ulteriormente aumentata con l’introduzione delle vele di straglio.
Furono migliorate le pompe per assicurare lo svuotamento dell’acqua dallo scafo che entrava con facilità sia attraverso l’opera viva che attraverso i ponti quando pioveva.
La robustezza della nave era essenziale in quanto dovevano resistere non solo alla furia del mare ma anche alla furia dei cannoni delle navi avversarie.
L’alloggio degli ufficiali era situato nel cassero a poppa della nave, mentre l’alloggio dei marinai non esisteva affatto. Questi dormivano, mangiavano e vivevano dove capitava finché non furono utilizzate le amache importate dal Brasile sistemate vicino al cannone di cui erano anche serventi.
In questo periodo tutte le navi generalmente portavano tre alberi ed erano attrezzate allo stesso modo, sia grandi sia piccole, e non differivano molto da nazione a nazione.
In questo periodo cominciarono a costruire dei modellini in tutto uguali a quelle che poi sarebbero diventate le navi vere. Praticamente questo era il progetto della nave. Niente di disegnato su carta o altro materiale che poteva essere consultato e che rimanesse dopo che la nave veniva costruita. Una volta che il committente accettava di far costruire la nave questa veniva riprodotta in grande.
È per questo motivo che nel mondo del modellismo si possono trovare dei modelli, anche molto differenti tra loro, che riproducono la stessa nave. Salvo poche eccezioni, solo agli inizi della seconda metà dell’800 si cominciò a conservare i progetti delle navi e quindi sapere come realmente erano, almeno nella mente del progettatore, le navi.
L’evoluzione delle navi segue l’evoluzione delle armi, e qualche volta sono le armi che dettano l’evoluzione della nave. In questo periodo, e per certi versi fino ai nostri giorni, l’arma per eccellenza è l’artiglieria. L’obbiettivo nel combattimento era arrecare maggior danno alla nave avversaria e questo veniva raggiunto facendo fuoco simultaneamente coi cannoni di una fiancata (bordata). Quindi la formazione di una flotta in combattimento era quella in fila o in linea, così da navigare prestando sempre al nemico i fianchi della nave e poter tirare le bordate. Da questa disposizione nacque la definizione di navi di linea per le navi da guerra.
Le navi da guerra venivano divisi presso le varie marine secondo il numero dei ponti di batteria e del numero di cannoni. Ad esempio gli inglesi divisero i vascelli secondo 8 ranghi. Nel I rango c’erano i vascelli da 5000 tonnellate con tre ponti e 110 cannoni; nel II rango i vascelli con 3500 tonnellate, due ponti e 80 cannoni; e via di seguito.
Altre navi caratteristiche dell’epoca, ma che troviamo anche in età moderna, erano la fregata che crebbe di importanza e dimensioni fino ad avere 60 cannoni fra il ponte di batteria e di coperta; la corvetta armata con 20-30 cannoni; il brigantino con due alberi e 10-20 cannoni; il cutter che era una piccola nave armata con un albero a vela quadra con randa e fiocchi; la bombarda una nave studiata appositamente per lanciare granate da due grossi mortai messi al centro del ponte; lo sciabecco che aveva una forma molto snella con due alberi a vela latina; la feluca, anch’essa con due alberi a vela latina ma con un ordine di remi.
Verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 si era ormai raggiunta una tale perfezione che il veliero era divenuto una nave talmente efficiente che, salvo alcune innovazioni di ordine pratico, non subirono più trasformazioni fino in epoca recente.
Per le loro caratteristiche di velocità sono degni di menzione i clipper. Queste navi erano state progettate per coprire nel più breve tempo la distanza dalle piantagioni di the in Asia e Americhe al mercato di Londra. Famosi sono rimasti il Termophylae e il Cutty Shark.
Questi clipper non erano più costruiti e armati esclusivamente in legno, ma molte parti erano in ferro come la chiglia e le coste con il fasciame in legno.
Ad Amburgo nel 1902 veniva varata la Prussen, la prima nave completamente in ferro, armata con 5 alberi, lunga 123 metri, larga 16,5. con una superficie di oltre 5500 metri quadrati di vele poteva raggiungere la velocità di 17 nodi: questo fu l’apice della marineria a vela.
Ormai il vapore e le eliche avevano finto. Ma le vele continuarono ancora per lungo tempo ad essere utilizzate, specialmente nella marina da guerra. Nella marina mercantile le vele furono eliminate prima perché cosi si poteva risparmiare sul personale per la loro gestione.
Il fatto che diede il colpo di grazia alle navi in legno, per la marina militare, fu quando un certo generare francese ebbe un colpo di genio e invento il proiettile dirompente. Questi proiettili con la loro capacità distruttiva avevano la capacità di demolire facilmente gli scafi in legno.
A questo punto bisognava eliminare il legno e sostituirlo completamente col ferro prima e con l’acciaio dopo.
Questo fu raggiunto quando fu costruito il Monitor. Questa nave era completamente corazzata, oltre che esteticamente orribile in ogni sua parte. Comunque l’innovazione maggiore fu che per la prima volta fu installata una torretta girevole munita di cannone. E questo fece abbattere completamente gli alberi della nave. Gli alberi continuarono ad esistere ma con la funzione di portare qualcosa in alto come luci di segnalazione prima e antenne poi.
A questo punto della storia la tecnologia ha consentito all’arte della marineria di specializzarsi in settori molto specifici.
Per guanto riguarda la marina civile, essa raggruppa tutte quelle attività e quindi differenza di costruzione navale, che riguardano tutte le attività della vita ad eccezione dell’attacco e della difesa della rispettiva nazione di appartenenza.
Esse sono una miriade, che vanno dal traghetto alla petroliera, dal peschereccio alla nave da crociera ecc. ecc.
La marina militare raggruppa tutte quelle imbarcazioni atte a difendere dal mare il territorio nazionale da aggressioni esterne (definiamola così senza entrare in tante elocubrazioni mentali).
Anche in questo caso sono una miriade, ultra specializzati.